[vc_row][vc_column width=”1/1″][vc_column_text]I rumori della città sono affievoliti rispetto al solito . La zona del Memorial è delimitata da transenne che in maniera ordinata sembrano voler tratteggiare il limite tra il dolore di una città e quello più intimo e profondo delle famiglie delle vittime che vanno oltre quelle barriere per incontrare i loro cari.
E’ un incontro di mani e di nomi scolpiti sul metallo al di sotto del quale scorre, incessantemente, acqua.
Quell’acqua sono le lacrime di ognuno di loro, di ognuno di noi. Quell’acqua è anche la vita che scorre con il suo carico di speranza per chi è rimasto e per chi deve portare avanti il ricordo.
Mentre a gruppi di dieci vengono letti i nomi dei “caduti” dalle famiglie che ad ogni anno si alternano nel declinare un comune dolore che il tempo non affievolisce, la mano di una donna accarezza il nome di suo figlio. Non gli resta altro su cui chinarsi oltre il suo ricordo, nemmeno il suo corpo, le sue ceneri. Non esistono parole che possano descrivere la dolcezza di quell’incontro, di quell’abbraccio.
Scorgo chiaramente una lacrima scendere dalle sue guancie per posarsi e riposare sul nome di suo figlio mentre le sue labbra recitano da anni, incessantemente, la stessa domanda: perché?
Il giorno scivola via tra aneddoti e lacrime, preghiere e poesie del ricordo. Ma siamo in America, siamo a New York e qui ogni tragedia, anche la più dura, rinforza uno spirito patriottico che non si può che ammirare.
Da ogni parte é un trionfo di bandiere di uomini in divisa e non che si ritrovano per ricordare le vittime e quanto grande sia la nazione di cui fanno parte.
Osservare poliziotti e bikers – che ti immagineresti di incontrare solo sulla route 66 -, bere una birra insieme tralasciando il gioco dei ruoli che contraddistingue il loro quotidiano perché oggi più che mai sono prima di tutto americani, sentirli urlare con passione “USA, USA, USA” non può non entrarti nel cuore e lasciarti insensibile.
Mentre il sole accarezza gli ultimi profili di New York come per magia, in silenzio, nel cielo si disegnano due Torri di luce.
Da ogni parte della Grande Mela gli sguardi sono volti all’insù verso quell’orizzonte, a volte vicino a volte più lontano, per catturare con smartphone, semplici macchine fotografiche o anche con il fascino del pennello, di una tela e di un carboncino quell’immagine che l’alba del giorno dopo porterà via con sé.
Come d’incanto i fasci di luce si animano di vita. Migliaia di falene si rincorrono in quei fasci di luce. Per i più romantici, per quelli che vogliono leggere un messaggio di pace e di speranza quelle falene, che sono migliaia, sono le anime di chi non c’è più.
La cosa strana di questo spettacolo è che non accade ogni anno e che poi d’un tratto le falene se ne vadano con il loro batter d’ali silenzioso quasi a voler togliere il disturbo dopo aver salutato.
La notte scorre in un silenzio surreale che abbraccia e culla New York mentre le due torri di luce vegliano la città.
Quando inesorabilmente il sole spiega i suoi raggi per salutare il nuovo giorno tutto torna apparentemente come prima perché a differenza di quanto accade con i ricordi che, altrove, con il passare del tempo invecchiano e ingialliscono, il ricordo di questa tragedia nel rinnovarsi ogni anno con il suo carico di dolore e di speranza assume colori sempre più vivi.
Non dimenticare “not forget” come dicono gli americani è il modo migliore per ricordare da dove siamo partiti eu7 comprendere al meglio dove vogliamo andare e cosa vogliamo essere.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/1″][vc_btn title=”Leggi la notizia” color=”primary” align=”right” css_animation=”left-to-right” link=”url:http%3A%2F%2Fwww.instantfuture.it%2Fifnow%2Fnews%2Fil-mio-diario-dell-11-settembre-1.3054|title:Leggi%20la%20notizia|target:%20_blank|”][/vc_column][/vc_row]
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